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A quindici anni Mariam non è mai stata a Herat. Dalla sua kolba di legno, in cima alla collina, osserva i minareti in lontananza e aspetta l'arrivo del giovedì, giorno in cui il padre le fa visita e le parla di poeti e di giardini meravigliosi, di razzi che atterrano sulla luna e di film che proietta nel suo cinema. Mariam vorrebbe avere le ali per raggiungere quella casa ad Herat, dove però il padre non la porterà mai: lei è una harami, una bastarda, e dunque sarebbe un'umiliazione per le sue tre mogli e dieci figli legittimi ospitarla sotto lo stesso tetto. Marian vorrebbe anche andare a scuola, ma sua madre le dice che sarebbe cosa inutile e quello che deve veramente imparare è la sopportazione. Laila è nata a Kabul la notte della rivoluzione, nell'aprile 1978: aveva due anni quando i suoi fratelli si sono arruolati nella jihad e per questo le è difficile piangere il giorno del funerale. Per Laila, anzi, il vero fratello è Tariq, bambino dei vicini che ha perso una gamba su una mina
[...]
antiuomo, che sa difenderla dai dispetti dei coetanei e, compagno di giochi, le insegna le parolacce in pashto e ogni sera le dà la buonanotte con segnali luminosi inviati dalla finestra. Mariam e Laila non potrebbero essere più diverse, eppure la guerra le fa incontrare in modo imprevedibile e nel v., dall'intreccio di due destini, una storia che ripercorre la Storia di un paese in cerca di pace, dove amicizia e amore sembrano ancora l'unica salvezza.
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